L'ippopotamo Carnerone disse un giorno tra sé e sé: «Oggi piglio il torpedone vado a prendere il caffè dagli amici in città. Bello è stare in società». S'aggiustò cravatta e colletto, s'infilò il panciotto più gaio e svelto svelto succhiando un confetto, senza avvertire il portinaio, spingi tu che spingo anch'io parti gridando: «Addio! Addio!» Ma quando scese in piazza del Duomo, tutto allegro come un fringuello, gli disse un vigile: «Galantuomo, sta bene attento: faccio un macello se non conosci le norme stradali. Te ne intendi di segnali? Se non vai sui passaggi zebrati, se dei semafori ignori i colori, se fai movimenti sbagliati, pancione mio, son dolori: t'appioppo una contravvenzione e magari finisci in prigione». l'ippopotamo rimase male. Si guardò intorno pieno di sgomento, e poi disse: «Caporale, me ne scappo più svelto del vento. Senz'amici, senza caffè, torno a casa. Ahimè! Ahimè!» Con un cupo brontolio il povero bestione spingi tu che spingo anch'io, risali sul torpedone disperato e poi piangente con una sporta piena di niente.